Il primo annuncio è arrivato in contemporanea da Los Angeles e Stoccolma, non a caso i due più interessanti global hub dell’innovazione, California e Svezia. Lucian Grainge, CEO di Universal Music Group e Daniel Ek, boss di Spotify, hanno comunicato la sigla del nuovo accordo di licenza per la musica in streaming della più popolare piattaforma globale. Spotify è il simbolo della disruption che ha trasformato il mercato discografico. Il principale cliente dell’industria musicale è oggi un’azienda che non esisteva dieci anni fa, segno di quanto repentina sia stata la rivoluzione digitale che ha rimodellato il mondo della musica. Il mercato dello streaming è letteralmente esploso negli ultimi due anni. I dati USA di pochi giorni fa hanno mostrato una crescita del 68% del segmento. Lo streaming rappresentava il 9% del mercato nel 2011 ed è salito al 51% nel 2016. Ventidue milioni di abbonati ai servizi in USA hanno trascinato la crescita del primo mercato mondiale all’11%, primo “double digit” da molti anni. E’ probabile che nei prossimi giorni Spotify rinnoverà i contratti anche con Sony Music, Warner Music e le indie presentandosi alla possibile IPO in un quadro di relativa tranquillità.
Il digitale è il new normal per le case discografiche
Le novità annunciate sono molto più significative di quello che possono sembrare ad un lettura superficiale. Tutti gli analisti concordano che il deal è sicuramente un potenziale win-win per il mondo della musica e dei partner tecnologici. Siamo di fronte ad un mercato che deve passare da una fragile economia di start-up ad un consolidato modello maturo. Digital ormai è new normal per le case discografiche. E’ il settore con la più elevata share digitale ed è evidente che la struttura del business non può più essere quella di un mercato emergente. Spingere i clienti ad abbonarsi ai servizi premium fa parte della logica di un mercato maturo, prevedere delle politiche di rilascio delle novità in maniera flessibile, come annunciato da Spotify ed Universal , ovvero la possibilità di prevedere che alcuni album siano messi a disposizione solo dei clienti paganti non significa far sparire le novità per i clienti free ma valorizzare il prodotto, una policy estremamente corretta anche nei confronti degli artisti che sono i creatori del contenuto. Il rilancio di Spotify è anche una sfida per tutti i competitor, sia sul piano globale che locale.
L'Italia è pronta a capire questa sfida?
Vale la pena in questo contesto di spendere anche un commento sulla situazione italiana, con un mercato dello streaming cresciuto del 30%, trainato anche qui dai clienti premium, anche se la conversion rate nel nostro Paese resta per ora lontana da quella dei mercati top a livello globale. Dal 2012, in Italia, lo streaming in abbonamento è cresciuto di oltre il 1300% e costituisce oggi la metà dei ricavi digitali. Sorprende pertanto la scelta, comunicata da TIM quasi in contemporanea all’annuncio di Spotify, di eliminare il bundle, ovvero l’offerta integrata tra telefonia e musica per i proprio clienti del servizio Tim Young, proponendo il servizio TIM music come opzione aggiuntiva.
Il 68% degli italiani ascolta musica dal cellulare
Uno dei successi globali dello streaming, è stato proprio generato dalle offerte integrate. In Italia il 68% dei consumatori di musica, secondo Ipsos Connect, l’ascolta tramite uno smartphone. In USA, proprio di recente, Sprint ha acquisito il 30% di Tidal per rafforzare la propria offerta in bundle. La differenziazione è la prima sfida per le telco che offrono musica in un mercato dove molti operatori hanno realizzato accordi con le maggiori piattaforme. TIM aveva creato, anche grazie al rapporto con le major italiane, una certa differenziazione dell’offerta, focalizzata sul repertorio locale, attenta alla musica italiana, che peraltro rappresenta ancora una forte share negli ascolti dei consumatori del nostro Paese.
L'incomprensibile strategia di Tim
La strategia di molte aziende di telecomunicazione è oggi indissolubilmente legata ai contenuti ed allo sviluppo di un’offerta integrata. Lo stesso CEO di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine, ha ricordato come la convergenza orrizontale, tra contenuti e telecomunicazioni debba essere la strategia da perseguire. La scelta in controtendenza di TIM resta quindi poco comprensibile in un mercato che si avvia ad essere ancora più aggressivo proprio con il nuovo deal di Spotify